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EXPO MILANO 2015 - Il profumo del Pane

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EXPO MILANO 2015: ‘IL PROFUMO DEL PANE’

 

Quando l’aroma inconfondibile del pane appena sfornato riempie l’aria del suo profumo, si ha subito la sensazione di un piacere che urge come una fame improvvisa di gusto. È allora che la sua fragranza avvolge i sensi, tutti: il palato che ne pregusta il sapore; la vista perché è così bello che si lascia mangiare con gli occhi; il tatto per la sua sofficità e croccantezza nel lasciarsi toccare; l’udito perché ‘spezzare il pane’ emette un suono che riconduce alla quotidianità di un gesto arcano, capace di riaccendere l’incantato stupore dell’armonia del tutto. Un gesto che invita alla convivialità, alla condivisione, a quello stare insieme che ci accompagna a spasso nel tempo, la cui storia infinita lascia senza parole e il cui segreto conserva il gusto pieno della vita.

Oltre a questo, e prima di questo, il pane è uno straordinario simbolo universale, condiviso nei riti e nelle tradizioni dei popoli più diversi che rievoca immagini di pace e di benessere. La sua storia è la storia stessa dell’uomo e della sua capacità di innovare la manualità delle lavorazioni artigiane, ove l’attività della panificazione vanta origini antiche e nuove; dove il 'tempo' assurge valenze storiche, culturali, letterarie e artistiche proprie della tradizione, proprie del costume di molti popoli cui il pane si lega.

Ma ancor prima il pane è una promessa di salute, di vigore fisico e robustezza che ha accompagnato la crescita dei popoli senza distinzione di razza, di credo, di colore, di cultura, di classe sociale. Pur essendo esso legato alla storia dell’evoluzione umana, si da al pane un’importanza relativa, mentre, al contrario, si tratta di un prodotto tutt’altro che elementare, che necessita di tutta l’esperienza manuale che l’essere umano ha elaborato e in cui ha impegnato il suo ingegno, la sua operosità, il suo orgoglio creativo. Si consideri che ventimila anni prima della nostra era, già s’impastavano i cereali frantumati con l’acqua, ricavandone una prima forma di pane grezzo, antesignano di quel pane che rappresenta oggi un importante settore economico, commerciale, industriale.

Il pane dunque come l’unico alimento che ha attraversato i millenni mantenendo intatte le proprietà nutritive del suo impasto, le cui peculiarità affondano le radici nell’alimentazione primaria di tutti quei popoli che ne hanno fatto l’elemento basilare della loro nutrizione. Quella di ‘fare il pane’ si vuole sia stata la prima specializzazione alimentare degli antichi popoli  del neolitico, i quali convertirono in pane l’orzo, ritenuto la prima graminacea insieme al miglio (Africa, Asia), seguito dalla segale (Europa) e dal frumento (Europa), cereale quest'ultimo dotato di straordinaria attitudine alla panificazione. Infine, dal mais importato dall’allora lontano ‘nuovo continente’ (Americhe), che addirittura veniva impastato con le patate, i ceci, le castagne e altro, utilizzate in tempi di gravi siccità e carestie.

Il tutto determinato sostanzialmente dalla necessità biologica che il genere umano ha sempre avuto di 'sfamare' se stesso, un 'fare' quest’ultimo che va qui considerato in quanto ‘primum movens’ di un attività di lavoro quanto mai necessaria. La ‘fame' e la costante ricerca di cibo a cui siamo vincolati fin dalla nascita, rientra quindi nell’eterno circolo fagico che ci rende tutti uguali, o forse simili, alle altre specie viventi, animali e vegetali che vivono su questa terra: dalle ‘specie’ floreali in via di estinzione che hanno fame di ‘conservazione’; agli animali che hanno fame di ‘sopravvienza’; fino alle genti non solo affamate di cibo quanto di ‘giustizia sociale’.

Onde per cui, relegare le piante e gli animali nella sola sfera dell’istinto è come assegnare agli esseri umani quella che ormai è diventata solo un’eterea riflessione, ma che di fatto è un arbitrario di un solo processo evolutivo, quello umano appunto, le cui forme più evolute d’intelligenza non saranno mai estranee al sentimento soggettivo e, quindi, relative della salvaguardia del suo corpo fisico, o forse solo alla sua fame. Sono questi i temi sui quali intendo qui sensibilizzare l’attenzione dell’EXPO Milano 2015 che, oltre alla scenografia grandiosa, allo spettacolo pirotecnico, all’esposizione tecnologica dell’alimentazione, dovrebbe spingere la riflessione sulla portata educativo-formativa e accendere i suoi riflettori sulla ‘fame nel mondo’ umana-animale-vegetale ormai atavica, di cui più nessuno oggi si occupa e che altresì renderebbe fattibile ogni rimossa speranza di una via possibile nel risanamento di questo pianeta attiguo alla rottamazione.

È così, ci sono molti tipi di ‘fame’ che avvelenano la sopravvivenza del mondo, non da meno è quella rivolta alla ‘conoscenza’, alla ‘cultura’, alle ‘necessità’ primarie di salvaguardia riferite alla terra abbandonata a se stessa; all’acqua di cui già si avverte la carenza; all’aria inquinata che non ci permette di respirare; al surriscaldamento e la desertificazione, nella generale incomprensione di ciò che c’è da fare, che bisogna fare, che dobbiamo fare in ordine alle complessità strutturali, energetiche e quant’altro per salvaguardare la matrice fisiologica che ci distingue e tutto ciò va fatto al più presto e con amore.

Sì, anche l’amore è ‘fame’ la più possente diramazione che un essere pensante nella pienezza del suo sviluppo possa avvertire:

 

Quell’amore che move il sole e l’altre stelle.” (Dante)

 

Che forse certe scoperte, certe verità o l’oggettiva realtà, non si presentano frutto di una tale certezza e imperio da apparirci dettate e volute da un potere inconscio e insieme cosciente, più forte delle nostre capacità, dei nostri sentimenti vaghi? Dalla nostra ‘fame’ di cercare e trovare nel soprannaturale una fonte che ci sfami? Perché l’amore è amore da qualunque prospettiva lo si guardi: dalla lontananza di una fuga o dalla vicinanza di un affetto, rimane se stesso. Non a caso la tradizione giudaico-cristiana iscritta nella simbologia del pane come alimento principe del corpo, si rifà alla condanna della Genesi: “in sudore vultus tui vesceris pane”, ovvero “col sudore della tua fronte mangerai il pane” che è comunque un atto d’amore, un dono fatto alla sopravvivenza.

Finanche l’invocazione “panem nostrum cotidianum” che compare nella preghiera insegnata da colui che “si è fatto uomo” e si è offerto come pane per la nostra salvezza, è comunque da considerarsi un dono d’amore e a quell’amore il pane si appella, perché grande è l’amore che lo fa lievitare sulle mense dei poveri e dei ricchi allo stesso modo:

 

Se nell’anima prendon vita i misteri d’amore, è il corpo che, come un libro li contiene…” (J. Donne)

 

Ed è ancora dall’amore che:

“..ogni desiderio nasce, in quanto seme primordiale dello spirito, il legame con l’essere”, come appunto recita il Rig Veda nell‘ ‘Inno della Creazione’ Indù.

 

In tale dispiegamento del corpo alla ricerca del cibo, la coscienza non differisce affatto dalla necessità di confermare un desiderio di pane mediante la tecnica più progredita che essa conosca: la capacità di moltiplicare più d’ogni altro organismo la sua ‘fame’ e la sua corrispettiva difesa, col mettere in atto la crità cristiana della “moltiplicazione dei pani”. Quello stesso pane che dà al povero e all’affamato la speranza di far parte di una spartizione salvifica, in grado di trasformare il proprio status originario (il corpo), rendendolo edotto del suo certo divenire (lo spirito): punto di partenza d’indiscutibile realtà e immediatezza che lo rende ‘umano’, cioè ‘essere vivente’ in Dio, e che, per ‘esistere’, deve possedere un corpo e quindi una ‘fame’ e, dalla fame, lo scaturire della necessaria ricerca di cibo.

Onde s’avverte quel qualcosa in più che presuppone un agire, un’attività in grado di trasformare l’oggetto (materia: grano, farniona ecc.) in oggetto, il cibo, cioè quel pane che sarà la sua eucaristia:

 

Prendetene e mangiatene tutti, questo è il mio corpo… fate questo in onore di me” (Vangelo)

 

Cioè la transustanziazione della carne nel suo divenire pane = cibo, onde alimentare il corpo (riflessione), in favore del pensiero puro (ragione) che trascende la sua composizione di materia (informe) che si traduce in pane (forma), nell’immensa distanza che intercorre tra spirito e afflato, prima del suo divenire pensiero, idea, concetto, immaginazione. Sì certo, rammento, si era partiti dal ‘profumo del pane’, ed ora ammetto di aver divagato, di essere sceso al conpromesso che differenzia la ‘fame’ dall’ ‘abbondanza’ senza tuttavia accorgermi che qualcosa nel frattempo è accaduto. Ci sono state molte guerre e molte sono ancora in atto, si tenta di costruire l’Europa senza sapere da che parte cominciare: nel frattempo c’è stata la fame, l’abbondanza, e sta tornando la fame, a voler dire che solo la ‘fame’ è rimasta la stessa.

All'occorrenza scrive Jacques Le Goff (*), per tornare allo slogan ‘nutrire il pianeta’ caro all’EXPO MILANO 2015: “L’Europa si costruisce. È una grande speranza che si realizzerà soltanto se terrà conto della storia: un’Europa senza storia sarebbe orfana e miserabile. Perché l’oggi discende dall’ieri, e il domani è il frutto del passato. Un passato che non deve paralizzare il presente, ma aiutarlo a essere diverso nella fedeltà, e nuovo nel progresso. Tra l’Atlantico, l’Asia e l’Africa, la nostra Europa esiste infatti da un tempo lunghissimo, disegnata dalla geografia, modellata dalla storia, fin da quando i Greci le hanno dato il suo nome. L’avvenire deve poggiare su queste eredità che fin dall’antichità, e anzi fin dalla preistoria hanno progressivamente arricchito l’Europa, rendendola straordinariamente creativa nella sua unità e nella sua diversità, anche in un contesto mondiale più ampio”.

Ora, pur senza dissimulare le difficoltà ereditate dal passato, nella sua tensione verso l’unità, nella sua corsa a integrarsi col resto del mondo, l’Europa deve impegnarsi nella prospettiva dell’avvenire; deve apportare elementi di risposta alle grandi domande che non sono ancora state evase, quali: ‘chi siamo’, ‘donde veniamo’, ‘dove andiamo?'

 

Massimo Montanari (**) nel suo libro “La fame e l’abbondanza” lancia una proposta ambiziosa, di un rapporto diretto e privilegiato con i problemi dell’alimentazione:

 

Non potrebbe essere diversamente, dal momento che la sopravvivenza quotidiana è il primo e ineludibile bisogno dell’uomo … da cui si snoda una storia difficiele e complessa, fortemente condizionata dai rapporti di potere e dalle sperequazioni sociali. Una storia che – tengo a precisarlo – in cui anche l’immaginario collettivo gioca un ruolo decisivo … in virtù della sua centralità esistenziale, la storia dell’alimentazione scorre in stretta sintonia con le ‘altre’ storie, le determina e ne è determinata, anche se le sue forti implicazioni antropologiche costringono la cronologia ad un serrato e talora difficile confronto”. E aggiunge: “Sono rimasti gli uomini, le loro cose e le loro idee” … e con la loro ‘fame’.

Ma se parlare oggi di pane ha significato di una riscoperta e di voler dare la giusta importanza a un alimento alla base della nostra nutrizione quotidiana in virtù di un ‘dono’ che ci proviene dalla terra, e perciò consacrato dalla natura a svolgere il ruolo di ‘cibo’ per eccellenza, il solo che ci fornisce armonicamente il necessario fisiologico a sostenere il nostro organismo; allora è bene (e giusto) che il pane non manchi sulla tavola di nessun essere vivente, e l’EXPO MILANO 2015 ben farebbe ad assegnare un posto di rilievo a questo ‘problema’ che rappresenta la vera ‘incognita’, in assoluto, per il mondo intero.

 

"Che cosa è tutto quanto gli uomini han pensato in millenni, di fronte a un solo istante di amore? È pur la cosa più perfetta, più divinamente bella della natura! Colà guidano tutti i gradini sulla soglia della vita, di là veniamo, colà andiamo!” (F. Hölderlin)

 

Oggi si parla molto del cibo, sui media televisivi e, principalmente si scrive sulla carta stampata, di ‘nuovi’ alimenti transgenici, di diete nutrizioniste alla portata di tutti, di manipolazioni genetiche, ma poco si discetta sul pane, sulle sue proprietà nutritive e il giusto posto che esso dovrebbe occupare nell’alimentazione e sulle nostre tavole. Parliamone dunque, ma soprattutto scriviamo di quella che è stata una grossa conquista per l’umanità intera nel processo di crescita culturale, tale che acquisì una sua funzione catartica del sacro abbinata in origine alla naturale lievitazione del pane, il cui l’impasto fatto di solo grano e acqua, aggiunse elementi della sfera celeste a un cibo pressoché terrestre, con la successiva consacrazione del pane nei rituali religiosi, in quanto elemento ‘simbolo’ dell’offerta umana rivolta alla divinità spirituale suprema.

Si vuole che ‘fare il pane’ abbia rappresentato una tappa molto importante anche relativamente al suo sviluppo culturale e intellettuale, ma non per tutti i popoli, e quella che per certi era considerata un’arte, per altri che non apprezzarono la sua naturale lievitazione, si distaccarono dall’usare il pane così fatto, in ragione di un 'ordine' esistente in origine, che essi avevano appreso dalla natura. In realtà non si conoscono date storicamente certe della comparsa del ‘fare il pane’ nel mondo, tuttavia si ha testimonianza di lontana ‘civiltà’ sparse un po’ ovunque.

È attestato se ne facesse uso in Asia Minore e in Medio Oriente all’incirca dal 3000 a.C. e, presso i cinesi, almeno dal 2000 anni a.C., tuttavia si deve agli egizi, considerata la prima ‘civiltà’ del bacino Mediterraneo, ad accompagnare il passaggio dalla lievitazione alla panificazione vera e propria, con l’uso di appositi forni di cottura. A loro volta, allorché gli ebrei iniziarono a servirsi del lievito naturale per propria utilità; i romani, che per primi compresero l’importanza del ‘fare il pane’ per sfamare il popolo coniando il detto “panem et circenses” e che Giovenale poi rese proverbiale, istitutirono per primi il Collegio dei Panettieri che doveva assicurare il suo rifornimento costante, della città, ricevendone per questo, grandi privilegi.

Come si è detto, non solo le graminacee più conosciute, quali il frumento, la segale, l’orzo, l’avena, il miglio, il mais, il riso e il sorgo, venivano e in parte venivano e tutt’ora vengono utilizzate per fare il pane, ma anche i legumi, inclusi la tapioca e le ghiande e le erbacee annuali coltivate un po’ in tutto il mondo, a dimostrazione del fatto che, almeno in teoria, tutto ciò che è macinabile e riducibile in farina, può essere utile alla panificazione. Il diverso procedimento di preparazione del pane oggi effettuato con appositi macchinari, ha in parte stravolto quella che fino a ieri era ritenuta a ragione “l’arte del pane” artigianale, e con esso sono venuti meno certi significati che lo volevano protagonista del desco famigliare.

Oggi il pane è soprattutto apprezzato, o trascurato dipende, non tanto per la sua presenza sulla nostra tavola, quanto dalle giovani generazioni per la sua fragranza, il suo profumo aromatico, che suscita in loro quel ‘buono’ che appunto sa di familia, di ‘vecchio’ rivisitato nelle forme e nei contenuti. Le paninoteche, loro luogo elettivo d’incontro e di trasformazione della realtà quotidiana, sono all’apice del successo per quel poco di tradizionale e di buono che riescono ad offrire alle frotte di giovani che letteralmente le prendono d’assalto. Questo a dimostrazione del percorso del pane dalla tradizione alla modernità superando la svolta del III° millennio della nostra era, e cioè oggi potrebbe avere tra i 5000 e i 6000 anni anche se non li dimostra, essendo ‘antico’ eppur ‘giovane’, come sempre è sempre stato, nel modo in cui riesce a superare ogni ostacolo e a sfamare tutte le generazioni.

Alcuni anni or sono, ‘fare il pane’ fu al centro di una manifestazione culturale organizzata dal CRIFA, (Centro Internazionale delle Facoltà di Architettura, del Politecnico di Milano) con la rivista “La Gola” (1988); la cua massiva partecipazione diede vita a un ‘concorso internazionale a premi di design alimentare’ denominato “In forma di pane”, il cui bando recitava come segue:

 

Il piatto a base di pane, deve risultare una creazione proponibile all’industria e non un preparato gastronomico domestico”.

 

Ad esso si ispirarono artigiani del pane, architetti, designer, specialisti, studenti di facoltà italiane e straniere, che apportarono nuove idee e tecniche di panificazione, con forme e modalità innovative e, non in ultimo, l'apporto di nuovi ingredienti e nuovi gusti che invitavano a 'degustare' un cibo per tutte le età e per tutte le stagioni. Un'esperienza che secondo me varrebbe la pena di ripetere. Chissà che ne possa venire qualche nuova proposta? Certamente ne verrà fuori qualcosa ‘di buono’ che porterà a riconsiderare la validità del pane e ad offrire una possibilità ulteriore, quand’anche se ne consideri la possibilità, di debellare il problema della ‘fame’ nel mondo.

Sebbene un detto continui a circolare nell'aria, che dice:

 

Non di solo pane (soprav)vive l’uomo”; ed acciò è legata la più autentica 'storia' dell’uomo:

“La storia siamo noi, siamo padri e figli, la storia non passa la mano, la storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.” (De Gregori – La storia)

 

“Certamente in quel lontano mattino cadde pioggia per la sete di un bambino per la sua fame innocente nacque il pane perché il pane avesse gusto nacque il sale.” (F. Simone - Origini)

 

Buon pane a tutti!

 

Note: (*) Jacques Le Goff, prefazione a “La fame e l’abbondanza” di Massimo Montanari – Edizione Laterza 1993 (**) Massimo Montanari, op.cit.

 

Letture: “Storia della civiltà contadina” – a cura di Jerome Blum – Rizzoli 1982. “Fame” di Gino Raya – Editore Ciranna- Roma 1974. “Il Libro del Pane” – Edizione speciale del Mulino Bianco – Barilla, no data. “Il piacere del pane” – Edizione speciale Mirabilia Eventi per la Cultura. Provincia di Roma, no data. “Il Pane e il Circo” – Paul Veyne – Il Mulino 1984.

 

EXPO MILANO2015

Massimo Beltrame, "Storia delle Esposizioni Universali" - Meravigli Edizioni 2014.

 

 

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